Omelia III Domenica di Pasqua - A



 
Non è facile, né tanto meno scontato anche per noi cristiani, credere in Gesù Risorto. È una realtà di cui non possiamo dimenticarci. In ultima analisi si tratta di qualcosa che può essere colto, e soprattutto vissuto, basandosi sulla fede che lo stesso Gesù fa nascere in noi! Ecco perché la liturgia è così importante e decisiva per la nostra vita di cristiani: «Lo riconobbero nello spezzare del pane». Se non sperimentiamo mai interiormente la pace e la gioia che Gesù infonde, è proprio difficile che “esternamente” troviamo prove della sua risurrezione.
 
Tutti i racconti pasquali, in effetti, ci rivelano diverse “vie” per incontrarci con Gesù Risorto. Il racconto di Emmaus è quello più significativo e straordinario. La situazione dei discepoli è così ben descritta fin dal principio, e riflette quello stato d’animo in cui potremmo trovarci anche noi. Di fatto, i discepoli possiedono, apparentemente, tutto il necessario per credere: conoscono il messaggio dell’Antico Testamento, il messaggio di Gesù, il suo operato e la sua morte in croce. Per di più hanno ascoltato il messaggio della risurrezione da parte delle donne testimoni e di altri discepoli. In realtà, è tutto inutile. Essi tornano a casa, immersi nella tristezza e nello scoraggiamento. Tutte le speranze, che avevano riposto in Gesù, sono svanite con il fallimento della croce. Non c’è altro da dire o da fare.
In ogni caso, il problema affrontato dall’Evangelista Luca è molto più vasto. Nelle comunità cristiane delle origini, molto tempo è passato da quando Pietro, Maria Maddalena, gli altri discepoli avevano vissuto esperienze molto “speciali” di incontro con Gesù dopo la sua morte. Esperienze che li portarono a “credere” in Gesù Risorto con una forza incredibile. Ma quelli che si erano convertiti alla fede del primo “gruppo” di cristiani, in che modo potevano far nasce e nutrire quella stessa fede nella risurrezione di Gesù? È qui il punto cruciale, ed è anche il nostro problema oggi.
 
Noi non abbiamo sperimentato l’incontro “speciale” con il Risorto e vissuto dai primi discepoli: su quali esperienze possiamo, dunque, contare? Tutto questo è quanto Luca ci prospetta nel racconto dei discepoli di Emmaus. I due camminano verso le loro case con la fede in Gesù ridotta a un mucchio di cenere. Non sperano più nulla da Lui, è morto ed è tutto finito: Gesù è uno dei tanti sconfitti della vita e della storia. La loro esperienza con Gesù è stata tutta un’illusione. Ma Gesù, che li segue senza farsi notare, li raggiunge e cammina con loro: «Gesù in persona si avvicinò e cammina con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Che cosa, quindi, possiamo fare anche noi per riconoscere Gesù?
 
Il brano evangelico, tuttavia, suggerisce due “vie” per ritrovare la fede in Gesù Risorto. La prima è l’ascolto della Parola di Gesù: in sostanza, nonostante il senso di fallimento di tutto, quei discepoli continuano a pensare a Gesù, parlando di Lui, interrogandosi su di Lui. Ed è proprio allora che il Risorto si fa presente sul loro cammino. È un avvertimento per noi straordinario. Gesù si trova là dove alcuni uomini e donne si ricordano di Lui, s’interrogano sul senso del suo messaggio divino, della Sua Persona. Anche se sono incapaci di riconoscerne la presenza. Non aspettiamoci nella fede, dunque, grandi prodigi. Se, talvolta, ascoltando il Vangelo di Gesù, amandone e assaporandone le parole, sentiamo il nostro cuore “ardere in noi”, è allora che Egli cammina accanto a noi!
La seconda via è ancora più decisiva: è il gesto di Gesù dello spezzare il pane per noi, il gesto dell’Eucaristia, così unico e caratteristico di Gesù. Dei viandanti stanchi per il viaggio, invitano il viandante sconosciuto a fermarsi con loro per la cena, un gesto semplice e sincero: «Rimani con noi, Signore, perché si fa sera». È allora che ai discepoli si aprono “gli occhi della fede” e cioè scoprono Gesù come qualcuno che nutre la loro vita, li sostiene nella stanchezza e li rafforza con la sua presenza lungo la via diventata, quasi ad un tratto, un sentiero senza pace né speranza.
Signore Gesù, fa’ che non ti dimentichiamo quando abbiamo paura di esserci smarriti nei nostri grovigli esistenziali e spirituali, quando la tentazione ci opprime e non ci lascia respirare. Fa’ che, proprio allora, continuiamo a “conversare e discutere” con te, a ricordare tutto di te, la tua parola e il tuo amore verso di noi. Fa’ che lasciamo a te, viandante “sconosciuto” tra i nostri smarrimenti, la parola decisiva per uscire dalle nostre tenebre. Sì, dobbiamo vivere solo della tua presenza e della tua parola. Ma questo non basta per riconoscerti. Ci occorre condividere con te la cena eucaristica, ci occorre incontrarti nella liturgia dove tutto parla di te, dalle parole alla musica, perfino alle luci, all’incenso e ai fiori, fino al gesto di condividere con te la tua “frazione del pane”, segno concreto della tua solidarietà con la nostra umanità.
Anche se – dopo anni e anni di frequentazione dell’Eucaristia – ancora non sappiamo bene chi tu sia, noi tuttavia sentiamo il desiderio ardente della tua compagnia. E non vogliamo che tu ci lasci per qualsiasi ragione. Tu solo, Eucaristia del nostro cammino incerto e faticoso, ci nutri con la tua persona, ci rafforzi e ci consoli nella nostra povera fede perché solo così, nella Chiesa, cresce la fede in Te Signore Risorto: « Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Entra nella nostra vita, come hai fatto con i discepoli di Emmaus, e rimani con noi, sempre! Amen.   

 

 

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